Uscendo dalla giornata di studio dedicata a Marshall McLuhan alla Sapienza di Roma – una mattinata fitta, che ha visto in sequenza gli interventi di "ortodossi" del McLuhan-pensiero ma anche di uomini d'accademia, d'azienda e di stampa, e un pomeriggio di "intelligenza collettiva", organizzato in "atelier" secondo il modello proposto dallo stesso De Kerchove – l'impressione è di un conflitto inevitabile. Un conflitto insito nella natura stessa del pensiero e della conseguente azione di McLuhan, figura in cui le varie discipline detentrici di prospettive concorrenti sulla comunicazione si incontrano in maniera quasi unica – e forse proprio per questo catalizzatore degli attriti che tra queste prospettive si sarebbero sempre più manifestati.
Forse per questo essere "mcluhaniani" oggi appare più difficile che mai: forse per questo il proposito di organizzare un evento che fosse ispirato alla figura dello studioso canadese non solo nel metodo, ma anche nel merito sembra difficilmente realizzabile; forse per questo il tentativo di mettersi sulle "tracce del futuro" ha restituito in buona parte slogan già noti, invece che concetti avanguardistici o interpretazione di "segnali deboli" – per citare uno degli intervenuti nella tavola rotonda della mattina, Philippe Cahen, autore dell'omonimo libro.
Forse per questo, più che a McLuhan, il tempo sembra aver dato ragione ai suoi critici: almeno per quanto riguarda la televisione, a proposito della quale più che le predizioni del canadese (come quella secondo la quale il media del futuro, quale che sia, "includerà la televisione come suo contenuto, non come suo ambiente", che cozza ad esempio con la realtà delle TV connesse) valgono le analisi e le ricerche dei suoi detrattori - come Raymond Williams, che per primo acutamente propose la nozione di "flusso" televisivo. Ancora oggi, la TV è anzitutto flusso, anche quando è on demand: e lo è perché è storia, perché è narrazione, senso e identità – non in quanto strumento di ipnosi, o peggio ancora di illusione collettiva.
Basta questo a dare per morto McLuhan? Decisamente no, anche se basta almeno a mettere in guardia contro il rischio di celebrazioni nominaliste. Piuttosto, serve a riprendere un dibattito, peraltro affatto nuovo, su quello che delle teorie mcluhaniane è ancora vivo – magari per scoprire che non si trova esattamente dove ci si aspetterebbe che fosse, e dove ci si ostina a cercarlo.