No, non è (affatto) la BBC

Il dietrofront della RAI sull'esazione del cosiddetto "canone spciale" – quello riferito a un uso "non familiare" della televisione – dalle imprese dotate di PC,  invitate a corrispondere il tributo da una lettera della Direzione Abbonamenti, la dice lunga sulla legittimità, e allo stesso tempo sull'illegittimità della pretesa avanzata dall'azienda radiotelevisiva di Stato. Nella lettera di chiarimento, con cui RAI chiarisce che il tributo resta dovuto per il solo caso in cui i computer vengano utilizzati come televisori, viene citato il caso del broadcaster pubblico inglese, la BBC, che ha richiesto il pagamento del canone anche ai possessori di personal computer, smartphones e tablet – caso che, come suggerisce la lettera, si distinguerebbe da quello italiano, decisamente meno esoso, perché ancora limitato al solo utilizzo dei dispositivi per la ricezione radiotelevisiva.

L'accostamento della RAI alla BBC è da tempo immemorabile un topos caro ai denigratori dell'emittente pubblica italiana: eppure, in questo caso, diventa difficile non cedere alla tentazione di approfittarne. Nel corso di questo decennio, la TV di stato inglese ha avviato e pressoché completato la propria evoluzione da impresa radiotelevisiva a  impresa multicanale e multimediale: ha lanciato applicazioni, servizi, piattaforme all'avanguardia, in grado di assicurare l'erogazione dei suoi contenuti su tutti i dispositivi abilitati e attraverso tutte le reti di trasmissione. Da Freesat a Freeview, fino all'ultimo progetto – meglio noto con il nome di YouView -, il percorso di BBC è stato netto, nella direzione di un ampliamento del concetto stesso di servizio pubblico. Non solo programmi di qualità, notizie autorevoli e attendibili, produzioni di livello indiscusso, trasmissioni di stampo culturale, con finalità più o meno educative: ma un'0fferta audiovisuale completa e altamente concorrenziale, in grado di sfruttare tutte le leve dell'innovazione per raggiungere i propri abbonati e farsi apprezzare da loro.

Non solo una questione di  dispositivi variamente innovativi e abilitati alla ricezione TV, insomma: ma un servizio reealmente "universale", a fronte del quale legittimamente viene richiesto un contributo – di ammontare più elevato, peraltro, rispetto a quello italiano – a chiunque sia in grado di visionare i contenuti BBC, e che da costoro viene corrisposto del tutto consapevolmente. Citando il controesempio dell'emittente di stato inglese, la RAI ha sortito quindi il duplice effetto di delegittimare la propria pretesa di riscossione "estesa" del canone – giustificata ora con la sola disponibilità di trasmissioni radiotelevisive, quindi tralasciando completamente i servizi online (dalla catch-up TV al canale YouTube, e via dicendo) che avrebbero potuto, ben più di vaghe elucubrazioni sui dispositivi, fornire un appiglio all'argomentazione; e di richiamare l'attenzione sulla piena legittimità della richiesta di BBC, che invece abbraccia ogni forma di erogazione del servizio.

No, decisamente la RAI non è la BBC: non ne ha la statura, la visione, l'iniziativa innovatrice; e di conseguenza, soprattutto, non ne possiede il coraggio; quello che le consentirebbe di chiedere ai suoi abbonati il pagamento di un canone, anche superiore rispetto a quello attuale, e di difenderlo di fronte alle obiezioni di chi lo vede come un balzello improprio. E giustamente, stando ai risultati osservabili: roba da far venir voglia non soltanto di contestare il canone sui dispositivi innovativi, ma anche su quelli più datati; e in casi come questi spinge inevitabilmente a chiedersi perché mantenere un'impresa di queste proporzioni, invece di affidarla con serenità a un mercato in grado di giudicarla meglio di quanto sia capace di fare su se stessa.