Malgrado il miliardo di utenti attivi raggiunti da YouTube, secondo il Wall Street Journal la piattaforma di condivisione video di Google non riesce ancora a generare profitti. Pesano certamente i costi, siano essi quelli riconducibili all’infrastruttura video o all’acquisto di contenuti; ma pesa soprattutto la mancanza di un’audience allargata, visto che, sempre secondo il quotidiano statunitense, l’85% delle fruizioni è riconducibile a un ristretto 9% dei suoi utilizzatori.
Quel che è ancora peggio, YouTube non è più solo nell’universo del video online: come ha fatto notare Eddie Tomalin, la piattaforma di Google è responsabile solo del 25% delle visioni, e si vede ormai costretta a spartirsi la torta dell’attenzione con servizi come Facebook Video, che in più possono contare su un coinvolgimento superiore degli utenti (sempre Tomalin riferisce che lo spot Budweiser, lanciato in contemporanea su YT e su FB, dopo 48 ore aveva raccolto 240mila condivisioni sul preimo, contro le 899mila del secondo). Attenzione e coinvolgimento ormai indispensabili per attrarre gli investitori pubblicitari, che almeno sul Web non si accontentano più del mero conteggio delle fruizioni.
Nessuna meraviglia, dunque, se negli scorsi giorni è circolata la notizia di quella che sarebbe stata una storica inversione di tendenza, vale a dire l’intenzione di YouTube di introdurre una formula di pagamento in abbonamento per accedere ai suoi contenuti, sull’esempio di Netflix. La mossa sarebbe stata logicamente coerente con la necessità di monetizzare il valore della percentuale di fruitori di cui sopra, virando su un modello di business tradizionalmente estraneo alla piattaforma, ma ormai largamente invalso. Purtroppo, la notizia era falsa: la stessa Reuters, tra le fonti che l’avevano in un primo momento diffusa, si è vista costretta alla retromarcia, correggendo il tiro con la precisazione che ad essere offerto in abbonamento sarà il solo servizio Music Key, come già annunciato da tempo.
La domanda in ogni caso non è se YouTube abbandonerà o meno il terreno del video ad-supported, che aveva per prima dissodato e arato. La domanda è piuttosto quella sul futuro stesso di un modello fondato sulle eyeballs – come quello che ancora resiste in ambito televisivo, dove tuttavia è riuscito a generare i profitti che sul Web non ha mai portato. Neppure a YouTube; neppure con due miliardi di occhi.