Digitalizzare è trasformare

“The cloud means workflows, not better file shares!”

Suona così il titolo di una delle slide della consueta presentazione di fine anno che Benedict Evans dedica agli scenari del digitale da venire. Nell’edizione 2021, che si chiama “Three Steps to the Future”, Evans mette a fuoco le soluzioni che potrebbero fare la differenza nel prossimo decennio: apparentemente rivoluzionarie, ma che a uno sguardo più ravvicinato si rivelano “deploying old ideas that are finally ready to work”. In altre parole, stiamo vedendo la realizzazione di concept – a partire dal famigerato metaverso – che risalgono a 10 o 15 anni fa, resa oggi possibile da una tecnologia e da un mercato ormai maturi.

Eppure, non è così semplice. Il modo in cui ci aspettavamo che accadessero le cose – l’affermazione di tecnologie, di dispositivi, di soluzioni – è molto diverso da come in realtà sono accadute. Prendiamo le applicazioni di collaborazione basate sul cloud computing: la loro vocazione non è semplicemente quella di digitalizzare i contenuti del nostro lavoro, ma di trasformare il lavoro stesso – esattamente come la digitalizzazione della TV ha portato con sé una TV nuova, e non semplicemente la riedizione di quella vecchia in modalità “anywhere, at anytime”.

Le strategie di apprendimento fondate sulle soluzioni, invece che sui problemi, saranno sempre di più destinate a rivelare il fiato corto

Ecco perché Evans esorta “don’t put your spreadsheet on the web – find a better way to do the job”: il fatto che applicazioni come Slack e i Google Sheets, familiari a molti (ma che per molti altri sono ancora lungi dal far parte della pratica professionale), figurino già tra quelle superate da piattaforme come Frame.io, è l’ennesima conferma che le strategie di apprendimento fondate sulle soluzioni, invece che sui problemi, saranno sempre di più destinate a rivelare il fiato corto di fronte alla rapidità, alla profondità e alla complessità della trasformazione digitale.