"L'Italia è digitale" dichiara a chiare lettere il quarto rapporto sulla TV digitale in Italia e in Europa, presentato la scorsa settimana durante la Quinta Conferenza DGTVi. Il titolo non si riferisce soltanto al progresso dello switch-off del segnale analogico in ulteriori aree del paese nel corso di quest'anno, ma al riflesso di questa evoluzione sui consumi, che sembrano già aver preso inevitabilmente atto della digitalizzazione (per la prima volta, nel febbraio di quest'anno, gli italiani hanno guardato più TV attraverso le piattaforme digitali che dall’analogico terrestre).
Cosa significa "consumo digitale"? Non si deve pensare (ancora) a una rivoluzione nelle modalità di fruizione di contenuti televisivi, ma a una "semplice" transizione da una tecnologia veicolante a un'altra, in maniera (quasi) trasparente rispetto ai contenuti e alle occasioni d'uso. In altre parole, oggetto della visione sono sempre i canali televisivi lineari, sia pure integrati (in misura maggiore – circa il 7% – nelle aree già interessate dallo switch-off) da quelli, free e pay, realizzati appositamente per la nuova piattaforma. Dal rapporto DGTVi emerge l'evoluzione verso una multicanalità più spinta, sinora appannaggio esclusivo del satellite, non una rivoluzione nei comportamenti dei telespettatori – ad esempio, verso le forme più spinte di "new TV", come la IPTV o la Mobile TV. Peraltro, il rapporto non tocca se non marginalmente questo mondo, sfiorando appena il tema della IPTV.
Si tratta dell'ennesimo sintomo del famigerato immobilismo italiano? A sentire Steve Sternberg no: in un articolo piuttosto ruvido, l'esperto di media e advertising USA se la prende (forse troppo) con Nielsen e con i suoi dati sui consumi di video online, sottolineando che l'audience della televisione "tradizionale" (che per gli USA significa tanto via etere quanto via cavo) è lungi dall'essere messa in crisi dall'avvento di forme innovative di fruizione multimediale. Il punto di forza dell'argomentazione di Sternberg è la time consumption, che per la combinazione di video online, social networks, blog e mobile video, tutti messi insieme, non raggiuge il 3% di quella dedicata alla più tradizionale visione del piccolo schermo domestico.
Sternberg evidenzia convincentemente che tutte le innovazioni sinora comparse sul mercato (come i DVR, la HDTV e il 3D) invece di mettere in discussione il primato della tele-visione tradizionale hanno concorso a rinforzarla. Se tanto vale per gli USA, sorge il sospetto che gli analoghi – e instenzionalmente sensazionalistici – annunci che circolano sempre più spesso anche dalle nostre parti (ultimo dei quali, quello diffuso dalla ricerca Mediascope Europe, promossa dall'European Interactive Advertising Bureau, che parla di 7 milioni di italiani spettatori di video online) siano basati su una lettura dei dati almeno orientata a esaltare le varianti, meno a sottolineare le costanti: che restano invece parte integrante del panorama sociale e mediatico, e che difficilmente verranno messe in discussione – per non dire scalzate – dalle prime.